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amarcord

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I’m pushing an elephant up the stairs

quest

It was the realization that the standard model didn’t describe well the world we lived in that set me off on a quest for alternative models in which market imperfections, and especially imperfections of information and ‘irrationalities’ would play such an important role.

Joseph Stiglitz, The Price of Inequality.

culodritto

13 Settembre

cameretta

Pubblicità Atari

All’età della bambina nella foto qui sopra, la mia cameretta aveva i mobili color faggio, le pareti bianche e le luci color crema. I miei vestiti erano un po’ di tutti i colori: rosso, verde, e blu sono i più ricorrenti che mi vengono in mente.

Tra i miei giochi c’erano bambole e peluche, una macchinina telecomandata, trucchi alla frutta, un vero microscopio, una scatola di latta piena di matite, pupazzetti di gomma , un Transformer, un Mio Minipony color viola, un robottino telecomandato, il das, una pista per le macchinine, i fumetti di Braccio di Ferro e molto altro. A un certo punto arrivarono anche i videogiochi; prima quelli piccoli tascabili (uno del calcio e uno delle macchinine) e poi l’Atari da collegare alla televisione.

Facevo la raccolta di figurine dell’atletica e degli Sgorbions (bleah!), ero fissata con i cavalli e leggevo tanto, anzi tantissimo, e di tutto.

Per la cronaca ho sempre avuto i capelli lunghi, almeno fino ai primi colpi di testa del liceo. Da grande mi è sempre piaciuto portare i tacchi alti, truccarmi e avere le unghie in ordine; non credo di poter essere definita ‘un maschiaccio‘. Ho mantenuto una miscela di interessi piuttosto vari e mi piacerebbe che una mia eventuale futura figlia potesse avere la stessa esperienza.

Però, facendo una ricerca su google immagini con la richiesta “cameretta bimba” quello che esce è più o meno simile alla foto qui sotto, e che a me sembra un incubo:

La ricerca “cameretta bimbo” offre risultati decisamente meno opprimenti e monocromatici.

La “pinkification” di giochi, oggetti e vestiti da bambine è un fenomeno che mi inquieta abbastanza. Immagino che le questioni di genere 30 anni fa non dovessero essere troppo più avanzate, ma nel complesso mi pare che la pressione conformista, almeno sulle bambine, oggi sia addirittura più forte di quando ero piccola io.

Sicuramente l’educazione e le scelte dei genitori conteranno moltissimo, adesso come allora; ma quanta influenza avranno le amichette vestite da fatine, il martellamento mediatico e pubblicitario e l’orribile packaging dei giochi “da femmine”?

La conclusione non voleva essere uno scorato “mala tempora currunt“. Piuttosto riflettevo che i gusti delle persone, uomini e donne – che un tempo sono stati bambini – non sono del tutto innati e spontanei, ma sono in gran parte frutto di influssi esterni… anche quelli dei designer di orribili camerette in tinta rosa.

Forse un sano mix di Meccano e Dolce Forno per tutti potrebbe portare ad avere una società di adulti un po’ più equilibrati, siano essi maschi o femmine. E pareti neutre, per favore.

furbi

Honoré Daumier - Crispino e Scapino

Honoré Daumier – Crispino e Scapino

Ho visto un video in cui un parlamentare (di non so quale partito) chiedeva alla Presidente della Camera di poter anticipare il proprio voto di fiducia al governo per poter poi andare a casa. Non si è capito a far cosa, ma dalla risposta di Boldrini pare proprio che non si trattasse di un’emergenza.

I commenti se la prendono con la ‘kasta’, io invece ho avuto un déjà-vù.

Frequentavo l’università – Giurisprudenza – e nel frattempo lavoravo a tempo pieno in una città diversa da quella in cui stava la mia facoltà. Avevo i giorni di permesso per fare l’esame (gran cosa) ma appena fatto dovevo volare a prendere il treno, tornare nella città in cui lavoravo per poter essere la mattina dopo, alle 8, attenta e scattante in ufficio.

La quantità degli iscritti a Giurisprudenza, si sa, è sempre superiore al necessario, sia rispetto al numero di avvocati notai e magistrati che serviranno un domani, sia rispetto al numero di persone che hanno veramente voglia di studiare il Diritto. Gli appelli, quindi, erano interminabili e spesso duravano più giorni.

Questo significava che potevi trascorrere una giornata in attesa snervante per poi essere rimandata al giorno successivo. Per me era veramente problematico: significava dover telefonare in ufficio, prendere un giorno di ferie, scusarsi molto con i colleghi eccetera (inoltre prima dovevo accertarmi che nessun altro avesse programmato ferie in quegli stessi giorni, altrimenti come si copriva una certa attività dell’ufficio?).

Presto mi resi conto che c’era chi, all’inizio dell’appello andava mesto e umile dal professore a chiedere la cortesia di poter essere interrogato tra i primi perché doveva 1. andare dal dentista improrogabilmente quel pomeriggio 2. prendere un treno per Molfetta dove lo attendeva la nonna sul letto di morte 3. andare a lavoro 4. inventatevi voi qualcosa.

All’inizio ero così ingenua da crederle tutte, ma ritenevo comunque di non voler essere tra quelli che chiedevano “l’urgenza”, nonostante questa cosa mi potesse risolvere vari inconvenienti lavorativi.

Poi ho iniziato a scoprire che chi doveva andare al lavoro in realtà era uno studente full time, la nonna del collega di Molfetta era morta nel 1991 e non c’era nessun appuntamento dal dentista per quel pomeriggio. Tutti o quasi questi miei colleghi la mattina successiva se ne stavano nel loro letto a godersi il meritato riposo; io, se riuscivo a fare l’esame in tempo, mi catapultavo sul treno e la mattina successiva ero a lavorare. A lavorare davvero.

So che alcuni di quei colleghi di ieri oggi gridano contro la ‘kasta’. Ma a me il pietoso parlamentare ha ricordato proprio quei tristi maneggi per essere interrogati qualche ora prima. I miei compagni non erano certo ‘casta’, solo dei ventenni che volevano fare i furbi.

La mia consolazione era avere generalmente la media parecchio più alta della loro, ma era purtroppo una consolazione del tutto intima e personale, che nulla rimediava del privilegio che loro avevano ottenuto con l’inganno e del ritardo che io stessa avevo subito nella mia interrogazione. Non so invece l’Italia come possa consolarsi di avere cittadini così furbi.

poesia

elezioni

donne

C’è un luogo comune che ho sentito ripetere sin da quando ero piccola: un posto dove ci sono troppe donne non può funzionare bene.

L’ho sentito riguardo alle classi di una scuola, ai gruppi di amici e ai luoghi di lavoro.

Tra pochi giorni lascerò l’ufficio dove ho lavorato negli ultimi due anni e che è composto per l’80% da donne. Il capo è una donna (brava, capace e instancabile), le colleghe che mi hanno insegnato il lavoro sono donne, e donne sono quelle che ho frequentato più assiduamente.

Mentre facevo il bilancio di questi ultimi due anni riflettevo sul fatto che nonostante lì dentro ci siano persone molto diverse tra loro, con storie, opinioni, vite, famiglie, aspetto, età, passioni, provenienza e impegni diversi, l’atmosfera in ufficio è sempre stata delle migliori.

Ci sono sempre state collaborazione, condivisione e allegria; eppure potrebbe essere considerato da molti un ufficio con troppe donne.

Non c’è una morale, né voglio aggiungere ulteriori considerazioni. Provo solo piacere ad evidenziare fatti diversi dagli stereotipi.