Ho visto un video in cui un parlamentare (di non so quale partito) chiedeva alla Presidente della Camera di poter anticipare il proprio voto di fiducia al governo per poter poi andare a casa. Non si è capito a far cosa, ma dalla risposta di Boldrini pare proprio che non si trattasse di un’emergenza.
I commenti se la prendono con la ‘kasta’, io invece ho avuto un déjà-vù.
Frequentavo l’università – Giurisprudenza – e nel frattempo lavoravo a tempo pieno in una città diversa da quella in cui stava la mia facoltà. Avevo i giorni di permesso per fare l’esame (gran cosa) ma appena fatto dovevo volare a prendere il treno, tornare nella città in cui lavoravo per poter essere la mattina dopo, alle 8, attenta e scattante in ufficio.
La quantità degli iscritti a Giurisprudenza, si sa, è sempre superiore al necessario, sia rispetto al numero di avvocati notai e magistrati che serviranno un domani, sia rispetto al numero di persone che hanno veramente voglia di studiare il Diritto. Gli appelli, quindi, erano interminabili e spesso duravano più giorni.
Questo significava che potevi trascorrere una giornata in attesa snervante per poi essere rimandata al giorno successivo. Per me era veramente problematico: significava dover telefonare in ufficio, prendere un giorno di ferie, scusarsi molto con i colleghi eccetera (inoltre prima dovevo accertarmi che nessun altro avesse programmato ferie in quegli stessi giorni, altrimenti come si copriva una certa attività dell’ufficio?).
Presto mi resi conto che c’era chi, all’inizio dell’appello andava mesto e umile dal professore a chiedere la cortesia di poter essere interrogato tra i primi perché doveva 1. andare dal dentista improrogabilmente quel pomeriggio 2. prendere un treno per Molfetta dove lo attendeva la nonna sul letto di morte 3. andare a lavoro 4. inventatevi voi qualcosa.
All’inizio ero così ingenua da crederle tutte, ma ritenevo comunque di non voler essere tra quelli che chiedevano “l’urgenza”, nonostante questa cosa mi potesse risolvere vari inconvenienti lavorativi.
Poi ho iniziato a scoprire che chi doveva andare al lavoro in realtà era uno studente full time, la nonna del collega di Molfetta era morta nel 1991 e non c’era nessun appuntamento dal dentista per quel pomeriggio. Tutti o quasi questi miei colleghi la mattina successiva se ne stavano nel loro letto a godersi il meritato riposo; io, se riuscivo a fare l’esame in tempo, mi catapultavo sul treno e la mattina successiva ero a lavorare. A lavorare davvero.
So che alcuni di quei colleghi di ieri oggi gridano contro la ‘kasta’. Ma a me il pietoso parlamentare ha ricordato proprio quei tristi maneggi per essere interrogati qualche ora prima. I miei compagni non erano certo ‘casta’, solo dei ventenni che volevano fare i furbi.
La mia consolazione era avere generalmente la media parecchio più alta della loro, ma era purtroppo una consolazione del tutto intima e personale, che nulla rimediava del privilegio che loro avevano ottenuto con l’inganno e del ritardo che io stessa avevo subito nella mia interrogazione. Non so invece l’Italia come possa consolarsi di avere cittadini così furbi.
specialmente verso il minuto 1:18…
Eh gia’, questo e’ bello 🙂