Stamattina alle 6 e 5 minuti qualcuno ha suonato il campanello. Mentre io riemergevo lentamente dalle profondità del sonno mattiniero, dave reagiva con uno scatto da centometrista e andava ad aprire la porta.
Era K., il ragazzo che consegna le scatole per Abel & Cole, una specie di cooperativa di fattorie che vende prodotti biologici.
Eh sì, perché a forza di lamentarmi del fatto che ogni tanto i pomodori del supermercato sembravano di plastica e le mele avevano in tutto e per tutto l’aspetto del pomo avvelenato di Biancaneve, con dave abbiamo deciso di provare a procurarci frutta e verdura un po’ più sani.
Così abbiamo seguito il consiglio di un suo collega e ci siamo messi a cercare la formula di spesa vegetariana che ci convinceva di più.
In Italia ci sono molti gruppi di acquisto che uniscono propositi salutisti e solidali, e tutto sembra più autentico e artigianale. Da queste parti, appena una cosa funziona, il business prende il sopravvento e l’impressione dell’artigianalità svanisce subito.
Basta guardare il sito che ti permette di fare gli acquisti on line con carta di credito, pianificare le consegne, modificarle fin quasi all’ultimo momento.
Tuttavia, le zucchine che sono arrivate stamattina non sembrano di plastica, le patate hanno ancora un po’ di terra attaccata e le mele hanno evidentemente dovuto lottare con qualche insettino.
In più lo strano cesto di cavolo selvatico (questo mi sembra, ma non ci giurerei) che hanno deciso di inserire nelle scatole di questa settimana, mi costringerà ad inventarmi qualche ricetta per poterlo mangiare.
Insomma, pare che anche a Londra sia possibile evitare di mangiare schifezze. Anzi, mi correggo: pare che anche a Londra, con un po’ di impegno, si possa evitare di mangiare soltanto schifezze.