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Posts Tagged ‘cibo’

biologico

Stamattina alle 6 e 5 minuti qualcuno ha suonato il campanello. Mentre io riemergevo lentamente dalle profondità del sonno mattiniero, dave reagiva con uno scatto da centometrista e andava ad aprire la porta.

Era K., il ragazzo che consegna le scatole per Abel & Cole, una specie di cooperativa di fattorie che vende prodotti biologici.

Eh sì, perché a forza di lamentarmi del fatto che ogni tanto i pomodori del supermercato sembravano di plastica e le mele avevano in tutto e per tutto l’aspetto del pomo avvelenato di Biancaneve, con dave abbiamo deciso di provare a procurarci frutta e verdura un po’ più sani.

Così abbiamo seguito il consiglio di un suo collega e ci siamo messi a cercare la formula di spesa vegetariana che ci convinceva di più.

In Italia ci sono molti gruppi di acquisto che uniscono propositi salutisti e solidali, e tutto sembra più autentico e artigianale. Da queste parti, appena una cosa funziona, il business prende il sopravvento e l’impressione dell’artigianalità svanisce subito.

Basta guardare il sito che ti permette di fare gli acquisti on line con carta di credito, pianificare le consegne, modificarle fin quasi all’ultimo momento.

Tuttavia, le zucchine che sono arrivate stamattina non sembrano di plastica, le patate hanno ancora un po’ di terra attaccata e le mele hanno evidentemente dovuto lottare con qualche insettino.

In più lo strano cesto di cavolo selvatico (questo mi sembra, ma non ci giurerei) che hanno deciso di inserire nelle scatole di questa settimana, mi costringerà ad inventarmi qualche ricetta per poterlo mangiare.

Insomma, pare che anche a Londra sia possibile evitare di mangiare schifezze. Anzi, mi correggo: pare che anche a Londra, con un po’ di impegno, si possa evitare di mangiare soltanto schifezze.

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frullatore

Qualche affezionato lettore ricorderà che proprio un anno fa scrivevo una preventiva lamentazione per l’eventuale, futuribile abbandono del mio passaverdura appena comprato: chissà – pensavo – un giorno ci trasferiremo e non potremo portarlo con noi.

Qualche mese fa, quel giorno è arrivato: viste le politiche della Ryanair sui bagagli, anche riuscire a portarsi un maglione in più non è impresa da poco, figuriamoci se si può prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di infilare in valigia un attrezzo del genere.

Ma è proprio in Inghilterra che più si avverte la necessità di una bella zuppa nelle fredde sere invernali. Questa volta dave, che all’epoca aveva definito il passaverdura “non cassetto friendly” non ha sentito storie: è andato ed ha comprato un modernissimo frullatore della Philips, proprio come questo nella foto qui sopra.

Devo dire la verità: è molto più veloce e pratico, si pulisce in un attimo, si fa meno fatica a premere un pulsante che a girare la manovella del passaverdura, e alla fine si ripone tutto nell’apposita scatola assolutamente cassetto friendly.

Però, a dirla tutta la verità, la vellutata di zucchine veniva parecchio meglio con il mio passaverdura!

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cibo

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bombolino

Che la moda pervada ogni ambito dell’umana vita è cosa risaputa: abiti, scarpe, acconciature, musica, arredamento, letteratura, cucina, cinema, automobili, teconologia.

Un fenomeno che non smette di stupirmi, però, è l’improvvisa esplosione nel gradimento popolare di un singolo ingrediente o alimento. Non sto parlando della scoperta nei nostri supermercati di frutti tropicali come il mango e la papaya, dei fan del cous cous o della colonizzazione dei fondi nostrani con le più grandi piantagioni di kiwi al mondo, che pure sono fenomeni interessanti.

Sto dicendo di quei casi in cui un umile ortaggio, che da sempre è sulla nostra tavola, all’improvviso diventa un ingrediente di culto.

Successe un po’ di tempo fa con la rucola, prima cugina povera dell’insalata e poi regina dei carpacci e della pizza, accompagnatrice privilegiata della tagliata di manzo. E l’aceto balsamico? Esisteva da secoli, ma sulla scia della pubblicità che lo vuole anche sulle fragole, vedo sempre più spesso persone che si lanciano in improbabili abbinamenti: sulle patate lesse, sulle barbabietole, sui ceci…

Adesso è il pomodoro pachino a vivere il suo momento di splendore.

Io lo conoscevo da piccola con il nome di bombolino quando aiutavo il mio babbo a farne delle “picce”: si coglievano ancora attaccati ai rametti in modo da poterli legare in sequenza ad una corda, e ricavarne una specie di grappolo da appendere. Questo permetteva di conservare i pomodorini – che risultavano come sospesi in aria – per periodi abbastanza lunghi. Li ho sempre usati per strofinarli sul pane, ottenendo con l’aggiunta di olio sale e pepe, il classico pane e pomodoro, ma niente di più.

Adesso i pomodorini – non li chiamo più bombolini altrimenti nessuno mi capisce – sono ovunque: sulla pizza (ma non c’è già il pomodoro sopra?), nella pasta, nelle insalate, come antipasto, come decorazione, al forno insieme al pesce. Il pomodorino è la star. Cerchi una ricetta e zac! Vuoi che non ti consiglino di aggiungere qualche pomodorino?

Ad esempio, adesso è ora di pranzo. Ho cucinato linguine alle vongole e ovviamente ci ho infilato anche dei pomodorini.

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caffè

È domenica pomeriggio e sto bevendo un caffè: l’ho preparato io e dentro c’è affogato un cioccolatino. È piacevole dosare la polvere nella moka, accendere il gas a fiamma bassa, aspettare che esca il caffè e poi versarlo nella tazzina, con lo zucchero e una pastiglia droste. Viziosa? Sì, abbastanza.

Comunque, ho iniziato a bere il caffè un paio di anni fa, quando mi sono trasferita a Pisa e sono aumentate le ore di lavoro e le cose da fare in casa: avevo bisogno di qualcosa che mi tenesse sveglia per studiare la sera.

Non mi piaceva nemmeno l’odore, ma buttavo giù caffeina calcolandone la quantità necessaria a restare sveglia dopo cena per finire un certo capitolo del libro di procedura penale, quasi fosse una medicina.

Lentamente è passato l’effetto eccitante e fortunatamente anche la necessità di star sveglia a oltranza per preparare esami.

Così mi sono lasciata andare ad una piacevole e blanda dipendenza dal caffè buono, quello con la cremina che fanno le macchinette del bar. La moka di casa, invece, non fa capolavori, ma sciogliendo il cioccolato nella tazzina sì, ci si avvicina.

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