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Archive for the ‘vita londinese’ Category

(Video: Moritz Oberholzer, Musica: Ratatat – “Double Pipes”)

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well

Quando arrivai a Londra per formalizzare l’iscrizione al master e ritirare la tesserina che mi avrebbe permesso di accedere al campus, ero reduce da un tour de force massacrante tra esami dell’ultimo momento, ricerca della casa, richiesta di aspettativa a lavoro e via dicendo.

Arrivai con buon anticipo alla scuola, mettendomi diligentemente in fila con le altre ‘matricole’: una fila così ordinata che aveva proprio il sapore dell’Inghilterra…

La procedura di immatricolazione fu rapida e tutta l’operazione fu gestita con estrema efficienza e cortesia (sicuramente complice anche il fatto che fossi tra i primi della fila). Quando mi consegnarono la tesserina con il nome, la foto e il simbolo della scuola, il signore che me la porgeva mi strinse anche la mano e mi disse:

“Welcome to the LSE”

La stanchezza dei giorni precedenti e la paura che qualcosa negli ultimi preparativi frenetici potesse essere andato storto, si trasformarono in un enorme sollievo di fronte a quelle parole.

Un anno poi è passato anche troppo in fretta: 12 mesi pieni di cose nuove, tanto studio, paura di non essere all’altezza, ma soprattutto del piacere di essere con dave in una splendida città a fare una cosa che mi ha appassionato moltissimo.

Tuttavia si sentivano storie di fallimenti, ci si scontrava con giudizi severi, compagni che si facevano prendere dal panico o persone che all’altro estremo sembravano terribilmente sicure di sé. Un po’ di apprensione per il risultato del master, insomma, ce l’avevo.

Poi tutto è finito, sono tornata in Italia e aspettavo con trepidazione l’e-mail che mi avrebbe comunicato l’esito finale degli esami e della tesi. Alla fine è andato tutto molto bene, meglio di quel che immaginavo e di quel che osassi sperare nelle lunghe notti su libri e articoli.

Alla cerimonia di laurea, il momento in cui uscivo definitivamente dalla scuola, ho stretto la mano al Direttore che come a chiudere un cerchio immaginario mi ha detto:

“Well done”

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london

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biologico

Stamattina alle 6 e 5 minuti qualcuno ha suonato il campanello. Mentre io riemergevo lentamente dalle profondità del sonno mattiniero, dave reagiva con uno scatto da centometrista e andava ad aprire la porta.

Era K., il ragazzo che consegna le scatole per Abel & Cole, una specie di cooperativa di fattorie che vende prodotti biologici.

Eh sì, perché a forza di lamentarmi del fatto che ogni tanto i pomodori del supermercato sembravano di plastica e le mele avevano in tutto e per tutto l’aspetto del pomo avvelenato di Biancaneve, con dave abbiamo deciso di provare a procurarci frutta e verdura un po’ più sani.

Così abbiamo seguito il consiglio di un suo collega e ci siamo messi a cercare la formula di spesa vegetariana che ci convinceva di più.

In Italia ci sono molti gruppi di acquisto che uniscono propositi salutisti e solidali, e tutto sembra più autentico e artigianale. Da queste parti, appena una cosa funziona, il business prende il sopravvento e l’impressione dell’artigianalità svanisce subito.

Basta guardare il sito che ti permette di fare gli acquisti on line con carta di credito, pianificare le consegne, modificarle fin quasi all’ultimo momento.

Tuttavia, le zucchine che sono arrivate stamattina non sembrano di plastica, le patate hanno ancora un po’ di terra attaccata e le mele hanno evidentemente dovuto lottare con qualche insettino.

In più lo strano cesto di cavolo selvatico (questo mi sembra, ma non ci giurerei) che hanno deciso di inserire nelle scatole di questa settimana, mi costringerà ad inventarmi qualche ricetta per poterlo mangiare.

Insomma, pare che anche a Londra sia possibile evitare di mangiare schifezze. Anzi, mi correggo: pare che anche a Londra, con un po’ di impegno, si possa evitare di mangiare soltanto schifezze.

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frullatore

Qualche affezionato lettore ricorderà che proprio un anno fa scrivevo una preventiva lamentazione per l’eventuale, futuribile abbandono del mio passaverdura appena comprato: chissà – pensavo – un giorno ci trasferiremo e non potremo portarlo con noi.

Qualche mese fa, quel giorno è arrivato: viste le politiche della Ryanair sui bagagli, anche riuscire a portarsi un maglione in più non è impresa da poco, figuriamoci se si può prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di infilare in valigia un attrezzo del genere.

Ma è proprio in Inghilterra che più si avverte la necessità di una bella zuppa nelle fredde sere invernali. Questa volta dave, che all’epoca aveva definito il passaverdura “non cassetto friendly” non ha sentito storie: è andato ed ha comprato un modernissimo frullatore della Philips, proprio come questo nella foto qui sopra.

Devo dire la verità: è molto più veloce e pratico, si pulisce in un attimo, si fa meno fatica a premere un pulsante che a girare la manovella del passaverdura, e alla fine si ripone tutto nell’apposita scatola assolutamente cassetto friendly.

Però, a dirla tutta la verità, la vellutata di zucchine veniva parecchio meglio con il mio passaverdura!

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scadenze

L'Urlo, Edvard Munch 1893

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biblioteca

Quando qualcuno mi diceva di persone che si trovano a proprio agio a studiare nei caffè inglesi, pensavo che non potessero essere altro che studenti un po’ bizzarri. Se hai a disposizione una grande biblioteca, una scrivania spaziosa, e soprattutto intere giornate da dedicare ai libri, perché dovresti ridurti a leggere nella confusione di uno Starbucks?

Per la prima volta dopo anni mi trovo anche io nella condizione di essere uno studente a tempo pieno, privilegio di cui non godevo dai lontani anni del liceo. Mi sarei aspettata da me stessa un’effcienza assoluta, la stessa capacità di ottimizzare il tempo speso sui libri che avevo all’università, quando, dopo aver lavorato una giornata intera in ufficio, aver sistemato le cose in casa e letto i giornali, riuscivo comunque a preparare esami di procedura penale con discreti risultati.

Invece mi trovo qui, davanti al mio portatile, con tutti i libri a disposizione, o magari nella enorme biblioteca della LSE e i pensieri che vagano nel nulla del mio cervello, alla vana ricerca dell’idea per un essay o dell’anello di congiunzione tra due articoli.

Poi mi è capitato di dover studiare nei ritagli di tempo tra un seminario e l’altro, o di cercare un’idea prima di un incontro con un prof: in questi casi gli spunti giusti, le letture più efficaci sono avvenute nel bar della scuola oppure in quella che è già diventata la mia biblioteca preferita.

La Shaw library è una stanza antica, che si presenta ancora come nella foto che vedete qui sopra, a parte la disposizione delle poltrone. Spesso la gente va lì per concedersi un riposo o la lettura di un giornale. È silenziosa e ben riscaldata, le poltrone sono comodissime, c’è ancora il pianoforte e negli anni le pareti sono state arricchite con i ritratti dei presidi della scuola.

Da qui a gennaio avrò molto da fare, fino a culminare, mi immagino, in una frenetica settimana all’inizio dell’anno: già lo so, tutti i giorni prenderò un espresso al bar della scuola e poi andrò a studiare alla Shaw library, che più che una biblioteca sembra un salotto.

Sono diventata anche io una studentessa un po’ bizzarra.

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efficienza

Lady wearing lace hood and a scarf

Il concetto di ricerca dell’ago nel pagliaio credo sia familiare a tutti, ma forse la variante inglese non è nota a chi non abbia avuto esperienza dell’impeccabile organizzazione anglosassone.

Il mio ago era una sciarpina del valore di 2 sterline e il pagliaio la National Gallery di Londra, da cui eravamo passati di fretta e saltando velocemente da una sala all’altra: ero sicura di essere entrata con la sciarpa ed arrivavo ad uscire senza. “Proviamo a ripercorrere le stanze a ritroso” ho detto.

Sì, figurati: un labirinto, decine di sale, divanetti con persone sedute (magari proprio sopra alla povera pashmina comprata a Bayswater), stanze con più accessi, scale, scorciatoie… Un giro veloce mi ha convinta che la sciarpa sarebbe rimasta al museo, ma per scrupolo ho chiesto a un custode: prova alla stanza delle lost properties, mi ha detto.

Giusto per non lasciare niente di intentato, con la certezza che sarei uscita nel vento di Trafalgar Square con il collo nudo, sono andata al piano interrato dove ho trovato un ufficio che non assomigliava affatto ai tipici magazzini degli “oggetti smarriti”. Ho comunque provato a dire: “Ehm… ho perso una sciarpa, una mezz’ora fa… credo.”

“Di che colore?” Ha chiesto semplicemente una signora. “Verde e rosa”, ho risposto. Lei ha consultato una tabella, ha aperto una scatola e ha tirato fuori l’ago, salvato dal pagliaio grazie alla classica efficienza britannica.

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cibo

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mezzi

Finché ho studiato all’università italiana mi sentivo come l’autista di un tir: il tir era il mio cervello e andava riempito piano piano di roba da portare a destinazione, presa da un magazzino enorme che doveva essere svuotato per intero, senza lasciare indietro nemmeno una scatolina da bigiotteria.

Quando arrivavo a destinazione, ovvero a fare l’esame, il tir era pieno zeppo, tanto da scoppiare: andavo lì, svuotavo tutto e ripartivo per un altro carico.

Adesso mi trovo con questa specie di autotreno vuoto e tremila magazzini pieni di cose: io vorrei iniziare da uno e svuotarlo, portare tutto a destinazione e ricominciare da capo.

Ma no: qui ti dicono che devi entrare in un posto, scegliere due tre cose in brevissimo tempo e via, scappare subito nel traffico convulso verso quello successivo.  A destinazione arrivi con uno zainetto pieno di poche cose importanti, ma devi ricordarti anche la strada che hai percorso e quali magazzini hai visitato.

E qual è il problema, direte voi?

Il problema è che io sono ancora alla guida di quell’enorme, lento tir… e mi servirebbe una vespa!!!

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