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Archive for the ‘libri’ Category

quest

It was the realization that the standard model didn’t describe well the world we lived in that set me off on a quest for alternative models in which market imperfections, and especially imperfections of information and ‘irrationalities’ would play such an important role.

Joseph Stiglitz, The Price of Inequality.

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bizarre

Su consiglio di amici io e dave siamo andati a vedere una mostra un po’ particolare al British Museum.

Grayson Perry, l’artista che vedete anche nel filmato qui sopra, ha raccolto vari oggetti della collezione del museo e li ha esposti insieme a una serie di sue opere.

Arazzi, ceramiche, sculture di ferro o legno contemporanee sono esposte accanto a manufatti antichi di civiltà lontane nel tempo e nello spazio. I temi sono interessanti, la realizzazione eccellente e in generale la mostra è godibilissima.

Io e dave ci siamo divertiti e appassionati in particolare ad alcuni pezzi. All’uscita abbiamo fatto un pensiero sull’acquisto del catalogo della mostra, ma abbiamo rinunciato un po’ per il prezzo un po’ per l’ingombro e il peso fisico che avremmo dovuto portarci dietro fino al rientro a casa.

Nei giorni successivi ho cercato notizie su Grayson Perry, sul suo orso Alan Measles e sulla mostra. Sono quindi finita su un blog del British Museum in cui bastava lasciare un commento ad uno specifco post per partecipare all’estrazione di un catalogo della mostra autografato dall’autore…

… e ho vinto. Così pochi giorni dopo mi è arrivato a casa un bel catalogo con la firma del geniale e bizzarro Grayson Perry!

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writing

Every one who has done any kind of creative work has experienced, in a greater or less degree, the state of mind in which, after long labour, truth, or beauty, appears, or seems to appear, in a sudden glory—it may be only about some small matter, or it may be about the universe.

The experience is, at the moment, very convincing; doubt may come later, but at the time there is utter certainty. I think most of the best creative work, in art, in science, in literature, and in philosophy, has been the result of such a moment. Whether it comes to others as to me, I cannot say.

For my part, I have found that, when I wish to write a book on some subject, I must first soak myself in detail, until all the separate parts of the subject-matter are familiar; then, some day, if I am fortunate, I perceive the whole, with all its parts duly interrelated. After that, I only have to write down what I have seen.

The nearest analogy is first walking all over a mountain in a mist, until every path and ridge and valley is separately familiar, and then, from a distance, seeing the mountain whole and clear in bright sunshine. This experience, I believe, is necessary to good creative work, but it is not sufficient; indeed the subjective certainty that it brings with it may be fatally misleading.

William James describes a man who got the experience from laughing-gas; whenever he was under its influence, he knew the secret of the universe, but when he came to, he had forgotten it. At last, with immense effort, he wrote down the secret before the vision had faded. When completely recovered, he rushed to see what he had written. It was: “A smell of petroleum prevails throughout.” What seems like sudden insight may be misleading, and must be tested soberly when the divine intoxication has passed.

Bertrand Russell, History of Western Philosophy.

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cerchio

Ieri pomeriggio ero in biblioteca e avrei dovuto concentrarmi su una lunga serie di articoli da leggere. Tuttavia la biblioteca comunale della mia città è momentaneamente sprovvista di collegamento alla rete elettrica per gli utenti; quindi avendo tutto il materiale disponibile solo sul portatile, dopo nemmeno un paio d’ore mi sono trovata senza lavoro.

Ormai il sabato era quasi finito e mi è caduto l’occhio su una vecchissima edizione (Sellerio, 1978) de L’affaire Moro di Leonardo Sciascia. Il resto del pomeriggio quindi l’ho passato a leggere d’un fiato il pamphlet di Sciascia.

Nell’introduzione, a proposito della rilettura ex post delle prime lettere di Moro, viene citato il personaggio di un racconto di Jorge Louis Borges, Pierre Menard che aveva riscritto il Don Chisciotte.

Pierre Menard, non aveva “reinterpretato” il Don Chisciotte, non l’aveva tradotto, né ambientato ai suoi tempi. L’aveva riscritto. Uguale. Identico a quello di Cervantes. Il racconto di Borges, contenuto nella magnifica raccolta Finzioni  l’avevo già letto (e riletto), ma non lo ricordavo abbastanza.

Ieri sera prima di dormire ho preso il libro che ho sul comodino: Dire quasi la stessa cosa di Umberto Eco. Sulla questione della reversibilità delle traduzioni Eco si chiede: “avrebbe potuto un Pierre Menard borgesiano, che non conosceva il libro di De Amicis, riscriverlo quasi uguale partendo dallo sceneggiato televisivo?”

Due volte nello stesso giorno. Pare proprio che Borges voglia essere riletto oggi.

Infatti per la serata abbandono Eco e pesco il primo dei due volumi dei Meridiani di Borges. Apro a caso l’introduzione di Domenico Porzio e inizio a leggere. Parla subito di Pierre Menard e mi spiega perché aver già letto un racconto di Borges non è sufficiente:

Può muovere da qui una marginale considerazione sulla quasi totalità dei racconti di Borges […] Agiscono questi  racconti solo nel momento in cui vengono letti, quasi esemplificando la indispensabilità del lettore perché si produca, di volta in volta, il fatto estetico parzialmente proposto dall’autore.

La pagina di Borges si riceve come una esperienza sempre inconclusa e inesaurita perché ripetibile ex novo: ogni pagina accade per la prima volta ad ogni rilettura; è stata scritta per la scoperta, per l’oblio e la riscoperta.

Poi scopro che Sciascia ha scritto un libro di conversazioni con Domenico Porzio, uscito postumo. Il cerchio si chiude con un nuovo inizio, com’è giusto che sia quando c’è di mezzo Borges. Io rileggo Pierre Menard, autore del “Chisciotte” e vado a dormire.

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leggerezza

René Magritte, The Castle of the Pyrenees 1959

La prima delle Lezioni Americane di Italo Calvino fu per me una rivelazione: la grandezza della sua scrittura, che avevo sempre intuito e mai afferrato, si chiarì grazie al suo elogio della leggerezza.

“La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio. […]

Presto mi sono accorto che tra i fatti della vita che avrebbero dovuto essere la mia materia prima e l’agilità scattante e tagliente che volevo animasse la mia scrittura c’era un divario che mi costava sempre più sforzo superare. Forse stavo scoprendo solo allora la pesantezza, l’inerzia, l’opacità del mondo: qualità che s’attaccano subito alla scrittura, se non si trova il modo di sfuggirle.”  Italo Calvino, Lezioni Americane.

Il parametro della sottrazione di peso è diventato presto uno dei miei metri di giudizio della letteratura.

Qualche tempo fa me la prendevo con la pesantezza di Margaret Mazzantini e le sue certezze sul valore dei propri romanzi. Fortunatamente posso risparmiarmi la lettura dei capolavori immortali della Margaret, ma in questi giorni sono stata ‘costretta’ a leggere un romanzo che mai avrei scelto di mia iniziativa.

È stata un’esperienza piuttosto interessante perché mi ha crudelmente messo di fronte ad uno stile di scrittura che niente ha a che vedere con la leggerezza.

Per il lavoro che ho dovuto farvi, ho potuto apprezzare il periodare ridondante, la ripetizione infinita dei pochi concetti chiave, l’uso indiscriminato dell’enfasi, la drammatizzazione di ogni passaggio e la ricerca della lacrimuccia alla fine di ogni capitolo. Uno strazio.

Certo, è ingiusto paragonare uno scrittore qualsiasi (per quanto gli siano già stati riconosciuti premi Strega e Campiello) a un colosso della letteratura italiana e mondiale come Calvino; e non è nemmeno detto che non possano essere sostenute le ragioni della pesantezza.

Tuttavia, io sto dalla parte della sottrazione di peso; o almeno dalla parte di quella letteratura che cerca di descrivere la pesantezza della realtà con la leggerezza del testo.

Riuscire ad ottenere leggerezza non è per niente facile e non me la sento di stigmatizzare nessuno per non esserci riuscito. Invece, tra me e chi ricerca volontariamente la pesantezza, c’è proprio una completa incompatibilità letteraria.

la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio.

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alice/4

Alla fine il momento di vedere Alice in Wonderland di Tim Burton è arrivato. Non è il film “definitivo” che in fondo speravo, ma è stata indubbiamente una visione molto piacevole e il tempo è passato troppo in fretta.

Devo confessare qualche difficoltà di comprensione della strana lingua parlata dal Cappellaio Matto (pare che Johnny Depp si sia ispirato a tratti all’accento scozzese di questo personaggio) e di conseguenza qualche battuta persa per strada.

Per il resto va bene così. È anche un’ottima scusa per rileggere il libro, questa volta con tutta la forza della lingua orginale.

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alice/3

A ripensarci, un suo fascino ce l’aveva anche il primissimo film del 1903

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alice/2

La verità è che il personaggio di Alice mi era fondamentalmente un po’ antipatico.

In primo luogo perché la ritenevo una sciocchina: proprio lei mi veniva a dire che un libro senza figure non poteva essere interessante? E tutto lo sforzo che stavo facendo io per immaginarmi bruchi arrabbiati, gatti sorridenti e maialini che starnutiscono?

Inoltre si lamentava un po’ troppo spesso durante le sue avventure: sembrava proprio non cogliere il privilegio che le era capitato.

Per questo il mio interesse era interamente rivolto al paese delle meraviglie e ai suoi personaggi. L’unica rappresentazione visiva di quel mondo che fino ad ora ho ritenuto soddisfacente è quella del 1951 di Walt Disney.

Ovviamente per eguagliare la libertà dell’immaginazione c’è voluto un cartone animato, ma di quello ero decisamente contenta: anche se era piuttosto diverso dal libro, ha saputo comunque regalare qualche personaggio indimenticabile.

Invece, di prendere in considerazione film veri e propri non se ne parlava nemmeno: da piccola rimasi turbata da qualche rappresentazione con i personaggi fatti con pupazzoni di gommapiuma e non ne ho voluto vedere più nessuno.

Pare che qualcosa stia per cambiare…

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alice/1

Chi mi conosce un po’, o anche solo chi dovesse dare una veloce occhiata al titolo del blog e al disegno qui in alto, saprà che ho una particolare affezione per la storia di Alice nel paese delle meraviglie.

È stato il primo libro che ho letto tutto da sola; in particolare ero affascinata dalle avventure “attraverso lo specchio”, perché mi sembravano più misteriose e coinvolgenti. Da piccola, davanti ad uno specchio, cercavo sempre di immaginare che cosa ci fosse di diverso dalla realtà negli angoli delle stanze nascosti al riflesso.

Non sognavo di essere Alice: mi bastava pensare che wonderland fosse tutto intorno: bastava usare un po’ la fantasia.

Il libro di Lewis Carrol era lo strumento d’ingresso in un mondo meraviglioso in cui la mia immaginazione si sentiva assolutamente legittimata a qualsiasi volo; allo stesso tempo i giochi con le parole e con i numeri, gli scacchi, le filastrocche e il nonsense mi promettevano livelli di lettura più alti per quando sarei stata in grado di comprenderli.

Così, anche da grande, Alice e il suo mondo restano per me il simbolo della libertà e della potenza dell’immaginazione; il libro di Lewis Carrol resta quello che mi ha iniziato al piacere di deliziare il cervello con la lettura.

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procrastinazione

Gustave Léonard de Jonghe, A Lazy Afternoon.

Gustave Léonard de Jonghe, A Lazy Afternoon.

Sono una persona che perde tempo facilmente, si distrae, s’interessa a mille cose non pertinenti al lavoro che deve svolgere in quel momento.

Finché sono in ufficio riesco ad essere assolutamente diligente e a restare concentrata per ore concedendomi solo la pausa di un caffè. Ma se mi trovo a casa da sola, alla mia scrivania, con il computer di fronte e la rete sconfinata a portata di un clic, la questione diventa più complessa.

Questa mia tendenza ineluttabile a perdere tempo in realtà non è nata con il computer né tantomeno con internet: esisteva già quando ero molto più piccola e andavo a scuola. Specialmente alle superiori, pur spendendo pomeriggi interi chiusa nella mia stanza, era più probabile che passassi due ore di fila a leggere Tolstoj piuttosto che a far versioni di greco.

Mi sentivo terribilmente in colpa, ma non ne potevo proprio fare a meno. All’università, con i tempi ancor più stretti per preparare gli esami, arrivavo al paradosso di approfondire una questione di diritto penale mentre preparavo un esame di diritto amministrativo.

All’epoca non sapevo che il termine giusto per descrivere questo atteggiamento è “procrastinazione“, e adesso che lo so non è cambiato molto.

Però, dicevo, l’arrivo di internet e della banda larga ha avuto un effetto dirompente sulla mia attitudine a procastinare: la rete è piena di notizie e stimoli, e io riesco benissimo a perdermi in ricerche concatenate che durano ore ed ore.

Una volta ho imparato le regole del gioco del go, ma più spesso leggo poposte di legge o motivazioni di sentenze di interesse pubblico; mi faccio una cultura sul conflitto nella zona dei Grandi Laghi, o m’informo sullo stato di attuazione del Kimberley Process.

Interessante, sì: ma passano ore intere e io non me ne accorgo. Soprattutto, visto che è impossibile rubare troppo tempo allo studio perché certe cose vanno fatte e basta, il tempo della procrastinazione viene sottratto a quello orginariamente destinato al riposo o allo svago.

Quindi di recente ho varato regole abbastanza rigide che mi dovrebbero consentire di studiare a capofitto tutta la settimana per poi concedermi libertà sabato e domenica; per renderle effettive ho installato vari blocchi sul browser che mi impediscono ad esempio di leggere il giornale per più di 5 minuti ogni 3 ore o di anche solo di accedere prima delle 22 a youtube o a quel mostro di social network chiamato facebook.

Così ora posso tornare a procrastinare leggendo romanzi sotto la scrivania.

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