Ieri pomeriggio ero in biblioteca e avrei dovuto concentrarmi su una lunga serie di articoli da leggere. Tuttavia la biblioteca comunale della mia città è momentaneamente sprovvista di collegamento alla rete elettrica per gli utenti; quindi avendo tutto il materiale disponibile solo sul portatile, dopo nemmeno un paio d’ore mi sono trovata senza lavoro.
Ormai il sabato era quasi finito e mi è caduto l’occhio su una vecchissima edizione (Sellerio, 1978) de L’affaire Moro di Leonardo Sciascia. Il resto del pomeriggio quindi l’ho passato a leggere d’un fiato il pamphlet di Sciascia.
Nell’introduzione, a proposito della rilettura ex post delle prime lettere di Moro, viene citato il personaggio di un racconto di Jorge Louis Borges, Pierre Menard che aveva riscritto il Don Chisciotte.
Pierre Menard, non aveva “reinterpretato” il Don Chisciotte, non l’aveva tradotto, né ambientato ai suoi tempi. L’aveva riscritto. Uguale. Identico a quello di Cervantes. Il racconto di Borges, contenuto nella magnifica raccolta Finzioni l’avevo già letto (e riletto), ma non lo ricordavo abbastanza.
Ieri sera prima di dormire ho preso il libro che ho sul comodino: Dire quasi la stessa cosa di Umberto Eco. Sulla questione della reversibilità delle traduzioni Eco si chiede: “avrebbe potuto un Pierre Menard borgesiano, che non conosceva il libro di De Amicis, riscriverlo quasi uguale partendo dallo sceneggiato televisivo?”
Due volte nello stesso giorno. Pare proprio che Borges voglia essere riletto oggi.
Infatti per la serata abbandono Eco e pesco il primo dei due volumi dei Meridiani di Borges. Apro a caso l’introduzione di Domenico Porzio e inizio a leggere. Parla subito di Pierre Menard e mi spiega perché aver già letto un racconto di Borges non è sufficiente:
Può muovere da qui una marginale considerazione sulla quasi totalità dei racconti di Borges […] Agiscono questi racconti solo nel momento in cui vengono letti, quasi esemplificando la indispensabilità del lettore perché si produca, di volta in volta, il fatto estetico parzialmente proposto dall’autore.
La pagina di Borges si riceve come una esperienza sempre inconclusa e inesaurita perché ripetibile ex novo: ogni pagina accade per la prima volta ad ogni rilettura; è stata scritta per la scoperta, per l’oblio e la riscoperta.
Poi scopro che Sciascia ha scritto un libro di conversazioni con Domenico Porzio, uscito postumo. Il cerchio si chiude con un nuovo inizio, com’è giusto che sia quando c’è di mezzo Borges. Io rileggo Pierre Menard, autore del “Chisciotte” e vado a dormire.
Fantastico…