Grazie ad una mostra alla Royal Academy of Arts ho avuto il piacere di scoprire la fitta corrispondenza che Vincent Van Gogh scambiò con il fratello Theo durante molti anni, fino ai suoi ultimi giorni.
Parlavano di tutto, ma soprattutto di arte e dei quadri che l’uno dipingeva e l’altro cercava di vendere.
Talvolta Vincent scriveva di un particolare pennello di cui aveva bisogno, e lo disegnava per spiegarlo meglio a Theo che doveva procurarglielo.
Altre volte, in una pagina di quaderno strapazzata riproduceva fedelmente la sua ultima tela, per far capire al fratello quali erano le sue nuove idee.
Theo dal canto suo gli procurava denaro per vivere e strumenti per disegnare. Di tanto in tanto gli mandava la riproduzione in bianco e nero di opere di grandi artisti, ridotte alle dimensioni della pagina di un libro.
Vincent era sempre felicissimo di quel materiale da studiare e da cui trarre ispirazione; esaminava la stampa nei minimi particolari, talvolta la appendeva in camera da letto per poterla osservare in qualsiasi momento. Ringraziava Theo, gli diceva quanto fosse entusiasta di poter vedere un Rembrandt o un Millet e si metteva al lavoro cercando di cogliere linee, prospettive e chiaroscuri.
Alla mostra, oltre alle lettere e ai quadri c’erano anche alcune delle stampe in questione, come la “Resurrezione di Lazzaro” che ho riportato qui sopra. L’originale di Rembrandt ovviamente è molto più intenso, a colori e con una luce calda che illumina i volti. In più la stampa era stata fatta esattamente speculare all’orginale. Vincent, comunque, ne era contento tanto che reinterpretò la sua propria “Resurrezione“.
Niente di eccezionale in questa storia: mi ha solo colpito l’immagine di quella riproduzione ridotta, un po’ oscura e pure sbagliata, ma tanto cara a Van Gogh perché gli dava la possibilità almeno di intuire un quadro che non poteva vedere dal vivo.
L’attenzione e la cura che riservava a queste stampe non solo infedeli ma anche ingannevoli mi ha in qualche modo turbato. Il pensiero della quantità di immagini che oggi abbiamo a disposizione, e la progressiva perdita di capacità di discernimento che pare conseguirne, mi ha intristito un po’.
Ho pensato che l’originale di Rembrandt è abbastanza lontano anche per noi al momento, ma a portata di un click abbiamo miliardi di foto a colori non solo di quel quadro ma di molto più di quello che Van Gogh avrebbe potuto immaginare, e difficilmente ci fermiamo ad osservarle.
In tutta quest’abbondanza di immagini ho l’impressione che ci sia qualcosa che mi sfugge. Da queste parti dicono depth vs. breadth…
Wow! Che mostra interessante che dev’essere! Ci sarà ancora questo weekend (se il vulcano ci permette di venire a trovarvi)?
Ecco, fatte un po’ di ricerche, e guarda che ho scoperto: hanno messo tutto il catalogo su internet, e gran bel sito! Che figo: http://vangoghletters.org/vg/letters.html
Mannaggia a questo vulcano! Ma sì, dai che le ceneri si poseranno e vi permetteranno di venire!!
Per la mostra mi dispiace molto, ma noi abbiamo fatto appena in tempo a vederla (siamo andati il giorno stesso della chiusura, infatti era affollatissima di ritardatari come noi!). Mi dispiace davvero perché ve l’avrei raccomandata caldamente: pur avendo visto altre mostre su Van Gogh e il museo ad Amsterdam, l’ho trovata particolarmente interessante, perché offriva una prospettiva originale e (almeno per me!) inedita.
C’è da dire però che Van Gogh non era una persona qualunque, ma un appassionato di pittura con un discreto occhio artistico, tanto da diventare uno dei maggiori pittori dell’epoca. Al giorno d’oggi è vero che siamo bombardati dalle immagini, ma chi ha interessi artistici continua a soffermarsi a lungo sulle opere altrui; basta vedere – per dire – il livello di attenzione ai dettagli che raggiungono le discussioni sui forum dei digital artist.
Sicuramente anche oggigiorno un pittore si soffermerà ad osservare il lavoro altrui. Senza bisogno di scomodare i digital artist, mi viene più naturale pensare a studenti e semplici appassionati che spendono giornate intere a copiare quadri del British Museum.
Tuttavia credo che non solo i miei ‘studenti e appassionati’, ma soprattutto i tuoi ‘digital artist’ non saprebbero che farsene della pagina di un libro strappata in un angolo, che riproduce al contrario, in bianco e nero, e con una tecnica diversa l’originale che li interessava in partenza.
Un’immagine ‘spixellata’ già non è più degna di attenzione e si passa avanti, perché comunque ce ne sono altri milioni a disposizione. Credo che sia tra i corollari della legge della domanda e dell’offerta, e probabilmente non c’è niente di intrinsecamente negativo. Mi pare solo che in tutto ciò – se c’è da guadagnarci da un lato – ci sia anche qualcosa che si perde per strada.
Parzialmente collegato: http://lanostrastoria.corriere.it/2010/05/il-futuro-della-memoria.html
Buona lettura.